Vintage e sostenibilità: dove siamo e dove andiamo

Vintage e sostenibilità vanno sempre di pari passo? Comprare vintage è uno dei modi più semplici per avere un armadio sostenibile, ma tutto il vintage è buono a prescindere, o ci sono da fare delle distinzioni? E come cambierà nei prossimi anni il mercato del vintage e dell’usato?

Ne ho parlato con Arianna De Biasi, fondatrice del progetto Dress ECOde ed esperta di economia e moda sostenibile, nonché consulente in materia di sostenibilità per brand green ed etici. Arianna ha risposto alla mie domande ribadendo alcuni punti fondamentali e approfondendone altri, altrettanto importanti. Alla fine della nostra chiacchierata sono venute fuori tante riflessioni e consigli pratici per rendere il vintage ancora più sostenibile.

Cosa succederà al vintage del futuro, quando la fast fashion occuperà una parte schiacciante di tutti gli abiti prodotti?

Michela, le tue domande sono spunti acuti e interessanti. Effettivamente parliamo moltissimo di vintage e second-hand come opzione più sostenibile per vestirci, ma non capita di interrogarci sulla questione del “futuro” vintage.

In realtà ci riguarda già.

Il concetto di fast fashion inizia con la rivoluzione industriale, per diventare più calzante negli anni ’60 quando gli abiti a buon mercato sono preferiti a quelli sartoriali. Tendiamo però tipicamente a identificare il fast fashion con la diffusione in Europa e in America di brand come Zara, H&M, TopShop, Primark negli anni ’90-2000. Il vintage fast fashion è quindi già una realtà.

Cosa succede, mi chiedi? Succede che perdiamo quella ricchezza della caccia al pezzo unico di qualità, che tipicamente questo abbigliamento ci offre. Se prima era un affare scovare un capo con oltre vent’anni, perché più resistente, di qualità superiore e meglio cucito, ora invece, se sono riusciti ad arrivare fino a noi, sono i pezzi in poliestere, acrilico, nylon o altri materiali sintetici, cuciti in velocità, senza una forte caratterizzazione, che aspetteranno di essere trovati.

La domanda è: ma i capi fast fashion durano vent’anni e oltre? Arrivano nei negozi vintage? O si scuciono e usurano prima? Li perdiamo per strada perché ci hanno stancato e ce ne siamo sbarazzati in fretta e furia, senza preoccupazioni per l’impatto ambientale?

Mentre gli abiti artigianali, sartoriali e di qualità sono passati di man mano, da una generazione all’altra, mi chiedo: capita lo stesso con quei pezzi afferrati seguendo un trend del momento, a volte con tagli e colori da poter sfoggiare solo giusto quando le vetrine ne sono piene altrimenti ti senti un alieno? (Un po’) più consapevoli del nostro impatto ambientale, adesso buttiamo (un po’) meno e riempiamo i negozi second-hand di capi fast fashion, spesso nuovi con cartellino. Non sono certa invece che ne troveremo di datati.

Chi terrà in vita il vintage? Il lusso, che ha continuato e continuerà a portare avanti la caccia al tesoro di pezzi di valore. E poi ci sarà la moda artigianale e lenta, che pian piano ritroverà sempre più spazio. Ci sarà un momento di transizione, con tanto fast fashion, ma in un futuro più futuro spero ricominceremo a riavere sul podio un vintage pieno di fascino, fatto di capi creati ora in modo più slow.

Ancora su questo argomento: come riconoscere una borsa vintage autentica

Chi terrà in vita il vintage? Il lusso, che ha continuato e continuerà a portare avanti la caccia al tesoro di pezzi di valore. E poi ci sarà la moda artigianale e lenta, che pian piano ritroverà sempre più spazio.

Diamo per scontato che il vintage sia sostenibile, ma dimentichiamo che buona parte dei capi che ci sono arrivati dalle epoche passate più recenti sono in tessuti sintetici, che durano molto di più rispetto alle fibre naturali. C’è un modo per ridurre il loro impatto sull’ambiente?

La sostenibilità del vintage risiede nella scelta di un acquisto in meno di un capo nuovo, allungando la vita a ciò che già c’è. Sta inoltre nella preferenza di un capo spesso di qualità, con una storia, selezionato con cura e per cui magari è stato amore a prima vista, quindi con meno facilità ce ne stancheremo presto. Risiede anche nel prendere, con il nostro portafoglio, una posizione precisa nel mercato, facendo riflettere quindi le aziende fast fashion e orientandole verso nuove strategie. Le più grandi si stanno infatti già adeguando inserendo, oltre a collezioni più o meno sostenibili, anche angoli online o offline dedicati all’usato.

Possiamo dare per scontato che il vintage sia più sostenibile, ma con alcuni aspetti migliorabili come quello che tu citi. I capi in tessuti sintetici durano tanto in termini di tempi di decomposizione, ma possono usurarsi, scucirsi e stufarci così da restare in un limbo: né indossati, né dissolti. Cerchiamo di farli durare il più possibile.

Finché resistono integri e li utilizziamo, non dimentichiamo l’aspetto spinoso del rilascio di microfibre plastiche, dannose quindi per l’ambiente, a ogni lavaggio. Al momento, ma ci sono in corso ancora studi, sembra riguardi il lavaggio in lavatrice, per via dello sfregamento che avviene nel processo. Possiamo preferire il lavaggio a mano, se possibile. Ci sono poi i sacchetti per raccogliere le microfibre (come la GuppyFriend). E i filtri per la lavatrice (ne abbiamo parlato qui), pian piano sempre più inseriti a monte dal produttore di elettrodomestici.

La sostenibilità del vintage risiede nella scelta di un acquisto in meno di un capo nuovo. Risiede anche nel prendere, con il nostro portafoglio, una posizione precisa nel mercato.

In che modo la vendita online tra privati di vintage e second hand ha modificato le emissioni di CO2 per imballaggio e trasporto? Hai dei suggerimenti per limitarne gli effetti negativi?

La vendita online di vintage e second-hand è un trend in crescita. Come in altri settori, la modalità online anche grazie alla pandemia ha avuto un’accelerazione significativa. Posso dare suggerimenti che valgono in generale anche per altri acquisti:

  • Prima di comprare online, cerchiamo alternative nei negozi di usato più vicini a noi.
  • Contattiamo un venditore nella nostra stessa città e proviamo a concordare un ritiro a mano. È proprio quello che ho fatto con te Michela! Non solo ne sono uscita con chicche del passato scovate grazie a te, ma anche tante chiacchere, occasioni di collaborazione e stimoli per le nostre attività.
  • Se facciamo un ordine online, proviamo a coinvolgere amici, parenti, conoscenti nella nostra città, per esempio avvisando sui nostri profili o gruppi social così da riunire in una spedizione più acquisti.
  • Chiediamo al venditore che tipo di imballaggi utilizza. Facciamo presente che in nome della salvaguardia dell’ambiente non ci importa che il nostro abito arrivi avvolto in una confezione nuova di pacca, in un involucro di plastica di design e con il logo del negozio. Specifichiamo che ci vanno bene soluzioni come carta recuperata, sacchetti riutilizzati, scatole di cartone riacciuffate da altri negozi o da acquisti precedenti. In genere, ho trovato nei pacchi ricevuti da venditori di vintage e second-hand imballaggi molto green, più che in altri settori, e curati nei minimi dettagli facendo sentire ancora più speciale il mio acquisto.

Ho trovato nei pacchi ricevuti da venditori di vintage e second-hand imballaggi molto green, più che in altri settori.

Chi ama il vintage ha già familiarità con lo studio necessario per riconoscere stili ed epoche. Quali altre competenze (teoriche e pratiche) sarà necessario sviluppare in futuro, per mettere assieme vintage e sostenibilità?

Ecco, mi chiedo quali stili racconteremo di questi anni 2000: sarà come raccontare dei pezzi dei decenni precedenti?

Torno alla tua domanda. Sicuramente gli aspetti dell’imballaggio e del trasporto, che hai evidenziato prima. Studiare come ridurre il più possibile l’impatto ambientale in questi termini è importante già adesso.

C’è poi la questione dell’igienizzazione: capire quali prodotti possano garantire la sicurezza per il consumatore e contemporaneamente per l’ambiente.

Mi viene in mente anche la capacità di dare al cliente le migliori indicazioni per far durare il capo a lungo, in base alla composizione dei tessuti (conoscere quindi i materiali sarà d’aiuto). Non solo: anche saper dare suggerimenti su come abbinarlo e indossarlo più e più volte senza stancarsi fa parte della sostenibilità.

Non so se sarà però questione di acquisire personalmente tutte le conoscenze legate alla sostenibilità: potranno esserci figure competenti dedicate a dare supporto affidabile ed efficace, affinché le soluzioni siano davvero green. Per non rischiare di danneggiare l’ambiente, pur avendo le migliori intenzioni.

Grazie Michela per queste domande molto interessanti che fanno riflettere su aspetti poco evidenziati!

Anche saper dare suggerimenti su come abbinare un capo e indossarlo più e più volte senza stancarsi fa parte della sostenibilità.


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